De Vera Religione

Le religioni non si inventano: tutt’al più si rivelano: si crede o almeno si dice che siano esistite ab aeterno ed improvvisamente qualcuno le scopre e ne comunica la pretesa verità al resto degli umani.

Molti di questi sono pronti ad accoglierla come se altro non avessero aspettato ed a loro volta la propagano.

Ci sono vari modi per diffonderla, dalla persuasione paziente (rara) alla imposizione con la forza e la violenza.

È un fatto che nessuna religione, per quanto improbabile, resta senza seguaci. Magari pochi, ma ci sono sempre.

Nessuna, eccetto una: la mia, intendo dire quella scoperta da me e che oltre al suo scopritore non può contare su nessun altro fedele.

Come mai vi chiedete?

Forse essa è menzognera, cerca di ingannare in maniera così spudorata gli eventuali credenti che essi stessi si rendono conto della tentata truffa intellettuale e la rifiutano senza neanche prenderla in considerazione, magari con un sorriso di scettico disprezzo sulle labbra?

Niente affatto, perché la mia religione è vera, più di tante altre per le quali si mobilitano jeratici profeti, guru sadomasochisti, austeri esponenti religiosi onusti di dottrina e grondanti di sagge citazioni, quando non interi eserciti pronti ad uccidere pur di convertire, in base al principio “meglio un fedele morto che un infedele vivo ed in circolazione”.

O forse le nostre prediche e omelie mancano di logica o di forza di convinzione?

Meno che mai, ma la soluzione del problema non è lontana.

La mia religione sarebbe in grado di diffondersi in tutto il globo terracqueo in un battibaleno se potesse essere diffusa (pacificamente, è ovvio), dando scacco a tutte le altre esistenti.

C’è allora qualche forza esterna ad opporsi?

No, non c’è.

Ma essa per l’appunto non può essere proclamata senza negare se stessa, perché (e qui temo di commettere una sorta di peccato) essa può esser chiamata la Religione del Silenzio, basata com’è su un solo articolo di fede, esistente anche in altre “fedi”, ma da noi, o meglio da me, osservato molto più rigidamente.

Esso recita (si fa per dire): “Non nominare la mia divinità invano, anzi non nominarmi mai”.

È un principio che rientra in una più ampia raccomandazi one che proibisce qualsiasi rapporto orale e addirittura anche scritto: ecco perché stilando queste note temiamo di aver commesso un peccato, forse grave.

Insomma SILENZIO ASSOLUTO.

Non ci sono altri obblighi, né orazioni da biascicare (Dio ce ne scampi!), né opere buone da compiere oltre all’astinenza dalle chiacchiere, che delle cosiddette “opere buone” è da noi – cioè da me – considerata la maggiore.

Ogni parola, per la Religione di cui parlo, costituisce una rottura dell’armonia dell’Universo, anche perché è quasi sempre pronunciata a sproposito.

In questa situazione come fare del proselitismo?

Ma forse proprio non si vogliono seguaci, per lasciare i premi dell’Aldilà, ammesso che esistano, solo a quei pochi che seguono la buona novella pur senza conoscerla.

Gli altri si perdano pure, avvolti nel loro mar di sargassi di parole con cui credono di cambiare il mondo.

Non si rendono conto, i tapini, che cambiano soltanto se stessi, ma in peggio, rendendosi ancor più laidi con le lo ro folli utopie.

Resta un mistero (tutte le religioni ne hanno almeno uno): che ne sarà della vera fede quando il suo unico credente lascerà questa valle di lacrime?

Essa scomparirà o dopo qualche tempo sarà rivelata ad un altro fedele che, come l’attuale, saprà conservarla nel segreto della sua coscienza?

Insomma: scomparsa provvisoria o definitiva?

Non lo sappiamo né nessun altro può saperlo.

Ma è proprio questo mistero che costituisce il fascino di un vera religione.

Alberto Indelicato