Lavorare meno, lavorare sempre, ma con dignità

Oggi il lavoro può essere ancora rappresentato graficamente come una gaussiana che è prossima allo zero per un lungo periodo, si inerpica verticalmente e velocemente dopo un certo tempo, per rimanere costante per un’altrettanto lungo periodo e poi precipitare rapidamente, tendendo ancora allo zero, al termine del percorso.

A breve, invece, la gaussiana dovrà essere molto più appiattita con una crescita meno rapida, ma più continua già a partire da valori temporali più limitati, per rimanere costante per la gran parte del tempo e solo verso la fine del percorso tornare in prossimità dello zero.

Uscendo dalla metafora e tornando alla realtà possiamo affermare che se vogliamo evitare che l’economia delle piattaforme, quella per intenderci di Google, Facebook, Amazon, Uber, Airbnb, diventi non un particolare modo di produrre, ma il modello futuro di organizzazione d’impresa, dobbiamo cambiare il modo e i tempi del lavoro.

Questo perché la grande fabbrica fortezza della produzione fordista, integrata verticalmente e dove tutto era organizzato al suo interno è scomparsa e con essa la sua organizzazione del lavoro, continuativo e indeterminato, suddiviso in ore, settimane, mesi ed anni di routinaria operatività parcellizzata, trasferita anche al modello sociale che la sosteneva.

La rapida e silenziosa trasformazione sta avvenendo perché la gestione dei flussi economici, il posizionamento nella filiera della trasformazione del valore, il tasso di contribuzione al bilancio degli Stati, i rapporti sindacali e la divaricazione tra i sempre meno privilegiati garantiti e la crescente massa degli esclusi e dei precarizzati, configurano le piattaforme non più come imprese monofunzionali, ma come veri e propri ecosistemi gestionali che tendono ad influenzare l’intero apparato economico di tutti i Paesi nei quali sono presenti.

La conseguenza è che il lavoro non è più un fattore produttivo, ma l’elemento determinante per la competitività, quindi tende ad essere più povero, meno garantito, equiparato ad una merce e quindi acquisibile al costo più basso possibile.

Infatti a dieci anni dalla grande crisi la trasformazione dell’organizzazione del lavoro che è in atto, sta cambiando la mappa del mondo del lavoro, con due fenomeni in essere: la riduzione costante del numero dei lavoratori autonomi e l’impoverimento di quelli dipendenti che sono si aumentati di numero, ma hanno visto precipitare le loro garanzie, i loro redditi e crescere indeterminatezza e precarietà per effetto di contratti part-time e a termine.

A pagare poi sono principalmente i giovani che faticano ad entrare nel mondo del lavoro e ne subiscono le distorsioni.

Nel nostro Paese il fenomeno è ancora più vistoso, infatti analizzando i dati dal 2007 al 2017 verifichiamo la presenza di circa 1,5 milioni di maggiori disoccupati che sono la somma di 500 mila posti di lavoro scomparsi in edilizia, dei 350 mila eliminati dalle chiusure e ristrutturazioni industriali, dei 170 mila cancellati dal blocco del turnover della P.A. e dei 530 mila piccoli imprenditori, artigiani, commercianti e lavoratori autonomi ai quali la crisi e l’evoluzione della distribuzione ha sottratto spazi per l’attività economica.

Parlando poi del lavoro dipendente constatiamo che in questi dieci anni il numero dei dipendenti a tempo pieno è diminuito di oltre 400 mila unità, mentre quello dei dipendenti a tempo parziale è aumentato di un milione e duecento mila, salendo a circa 3,6 milioni totali; persone che se è vero che hanno più tempo libero, lo pagano ,però, con una minore disponibilità di reddito, con ansie crescenti e in futuro, con pensioni più ridotte.

In sostanza e questo vale per tutti, siamo in presenza di un lavoro più povero, meno qualificato, precarizzato e parcellizzato come nei periodi più bui del fordismo, sia per effetto dell’introduzione crescente degli algoritmi dell’intelligenza artificiale che per quello del capitalismo delle piattaforme che sta sostituendo dello dei territori.

I nuovi lavori tendono a concentrarsi nella logistica di distribuzione, nei servizi alla persona, nella ristorazione e nell’accoglienza; in sostanza battaglioni di autisti, fattorini, magazzinieri, badanti, commessi e cameriere, impiegati a tempo parziale, che prendono il posto di bancari, impiegati pubblici, commercianti e piccoli imprenditori che lavoravano a tempo indeterminato.

E’ anche in questo che si può leggere il declino culturale e sociale del Paese e la progressiva scomparsa della sua classe media che ne aveva accompagnato la crescita negli anni passati.

Forse una soluzione può essere quella di non essere vittime di un modello che si sostanzia in velocità, elasticità, energivorità, precarietà, disuguaglianze crescenti, rischio incontrollato, falsa auto imprenditorialità, spreco di risorse ed evitare di considerare la vita solo come un processo che si configura in poche fasi susseguenti e cadenzate da ritmi che impediscono apprendimenti continui, educazione, emancipazione e liberazione dal bisogno.

Non dovremmo accettare che la percentuale di sostituzione del lavoro umano con l’intelligenza artificiale sia lasciata alla discrezionalità economica del capitale, ma subordinata nei tempi e nei modi a processi democratici fondati sui diritti di tutti i portatori di interessi.

Pertanto la nuova ripartizione del lavoro non più organizzato nelle canoniche quattro fasi: gioco, studio, lavoro e pensione, dovrà essere riarticolata in un continuum alternato tra apprendimenti e applicazioni.

In sostanza da zero a sei anni si gioca e ci si diverte, apprendendo i rudimenti della socialità, della collaborazione e del confronto tra le diversità e successivamente tra fanciullezza, adolescenza, gioventù, maturità ed anzianità, si stabiliranno da prima le ore, poi i giorni, le settimane, i mesi e gli anni, da suddividere tra saperi e attività che potranno essere di volta in volta, operative, specialistiche, discrezionali e gestionali, a seconda di preferenze ed esigenze individuali e sociali.

In questo modo ognuno di noi imparando ad imparare e continuando ad apprendere potrà con maggior facilità cambiare attività e superare le resistenze e le inerzie che il cambiamento comporta.

Scomparirà anche il problema previdenziale dal momento che i versamenti contributivi saranno continui a partire dall’infanzia per terminare solo con la nostra dipartita che ci vedrà ancora, anche se limitatamente, al lavoro.

Pertanto si lavorerà di meno, ma in maniera continuativa per tutta la vita, dal momento che al lavoro verrà restituita la dignità perduta; mentre ai robot e alle intelligenze artificiali verranno assegnati i compiti più gravosi e i calcoli più complessi, sotto in controllo democratico della collettività, in modo da far si che la tecnologia sia al servizio degli esseri umani e non del capitale.

Luigi Pastore