Delocalizzazioni

Assisto un poco incredulo al balletto in scena sulle ‘delocalizzazioni’.
 
Vediamo di ricapitolare e vediamo anche di evitare di gridare ‘al lupo al lupo’.
 
Io vedo questo fenomeno come segue:
 
a) Una impresa (meglio, la proprietà della medesima) decide di ‘delocalizzare’, ad esempio in Bulgaria.
 
Le motivazioni possono essere le più varie: alcune ‘limpide’ e altre, magari, meno limpide: dal punto di vista della discussione che le propongo la questione è irrilevante. E’ ovvio che nel caso di motivazioni ‘meno limpide’ quel che sto per dirle acquisisce un valore ancora più sferzante.
 
b) Anticipo subito la mia posizione in merito al problema tecnico sotteso a tale scelta imprenditoriale.
 
Io sono assolutamente favorevole alla libertà di ‘delocalizzare’. Al di là di tutte le critiche possibili, la ricaduta più positiva in assoluto è la conservazione del ‘mercato’ acquisito dalla società italiana: si tratta di una componente fondamentale della ricchezza che l’azienda delocalizzante si è costruita negli anni: componente che spesso viene ignorata o, quanto meno, sottovalutata nel quadro delle opinioni sul tema. In ogni caso, nella civiltà ‘liberista’ in cui viviamo, questa è una componente fondamentale della libertà di impresa.
 
c) Nella ‘delocalizzazione’ vengono trasferite molte cose, fra le quali il ‘know-how’ acquisito nell’attività italiana.
 
Il ‘know-how’ è il segreto del ‘saper fare’. Non nasce da solo: nasce esclusivamente dalla collaborazione di lungo periodo fra due gruppi di persone fisiche: la ‘proprietà’ e le ‘maestranze’. Si tratta di un ‘capitale immateriale’ in comproprietà.
 
d) Che fine fa’ questo ’know-how’?
 
Da un lato genera una conseguenza molto positiva: per le nuove maestranze post-delocalizzazione: che, gratis et amore dei, ricevono una serie di conoscenze tecniche e organizzative che non perderanno mai più. Ma, dall’altro lato, una conseguenza molto negativa: per le vecchie maestranze, che perdono non soltanto il lavoro ma neppure ricevono un qualsivoglia indennizzo per la perdita di una comproprietà intellettuale di enorme valore che hanno creato insieme con l’ex-datore di lavoro.
 
A chi scrive sembrano chiare due conseguenze assolutamente ingiuste e inaccettabili:
 
1) La prima investe tutti coloro che perdono il lavoro: in concreto vengono derubati di una proprietà parzialmente loro
 
2) La seconda riguarda la conseguenza economica a carico del nostro paese che deve intervenire a sostegno di situazioni difficili che possono crearsi per le maestranze licenziate e disoccupate.
 
Tutto questo non è accettabile: e non è neppure accettabile il sonno colpevole dei tutori massimi preposti alla difesa dei diritti delle maestranze, e cioè i sindacati.
 
 
5 luglio 2018
Giuseppe Brianza