Quella vecchia ‘gabola’

È solo quando te li rompi che ne scopri l’esistenza.
Il cuboide, per dire.
Un ossicino nascosto nel tarso.
Che poi, anche il tarso…

Cadi, ti ingessano e sei fuori gioco a lungo.

Ok, dipende dal lavoro.
Ma se fai parte del giro è grave.

Intanto, chi guida?
Chi ti porta al casinò?
E ti fanno entrare ingessato qua e là?

(Scrivo e mi chiedo quanti tra i lettori abbiano in mente quel tempo.
Quel tempo: anni Settanta, niente computer, niente cellulari, per cominciare.
Niente slot machine, niente giochi americani.
Obbligo di giacca e cravatta.
E il francese, ‘naturellement’.
E ci dovevi andare.
Al casinò, intendo).

Scrivo perché ieri al supermercato ho incontrato Enrico.
Quarant’anni che non lo vedevo.
E non è morto.

Era lui l’autista.
Era lui il braccio ai tempi del benedetto cuboide.

Arrivava da chissà dove – mai saputo dove abitasse e la volta che glielo avevo chiesto mi aveva risposto “Io non abito” che mi era piaciuto molto – verso le cinque con una vecchia Mercedes.
E via verso Campione.

Dentro – seduto alla prima roulette a destra entrando quella che aprivano sempre per ultima – pochi ancora essendo i frequentatori, lo dirigevo.

I ‘vicini’ nel tavolo d’angolo in fondo dove il tre – lo sapevo – era spesso in calore…
Gli ‘orfanelli’ a quello lungo la vetrata interna.
La ‘serie’ secondo ispirazione.

Non andava poi male.
Tolta la sua percentuale, qualche quattrino entrava.

Poi, un pomeriggio più sul tardi.
Un affollamento particolare.

Gioca, Enrico.
E tre o quattro volte torna a prendere le fiche con aria contrita.

Perdiamo.
Capita, e non drammatizzo.

In auto, mi dice che domani ha da fare e che si fa vivo lui per la prossima gita.

E l’ho rivisto ieri.

E, sorprendendolo,
gli ho dato una pacca sulla spalla.

E gli ha preso un colpo.

Ma si è ben presto tranquillizzato.
Mancava poco che lo abbracciassi.

E se n’è andato.

Mi è parso non valesse proprio la pena di dirgli che solo un paio di giorni dopo quell’ultima volta, tornando in sala e ricevendo i complimenti di un paio di amici per il colpo messo a segno, avevo scoperto che mi aveva fregato la bellezza di un milione di lire.
Che si era tenuto le vincite e tanti saluti.

Quarant’anni e vuoi tirarla fuori quella vecchia ‘gabola’?
Ma no.
Lascia perdere.

Però, se mi capita di rivederlo, che so?, potrei salutarlo con un sorrisetto e con quel gesto della mano che dice simpaticamente “bel brigante che sei”.

Mauro della Porta Raffo