‘Bobi’ Bazlen

Di tanto in tanto – si parli con Ruggero Guarini, si dia una sbirciata ad una qualche annotazione di Piero Chiara, si legga qualcosa a proposito di Adriano Olivetti e dei suoi interessi culturali o della nascita della Casa Editrice Adelphi – ecco spuntare il nome di Roberto ‘Bobi’ Bazlen, a volte citato come ‘Bazler’.

Nato a Trieste nel 1902, leggendario scopritore di talenti letterari, acutissimo osservatore del mondo letterario internazionale, consigliere editoriale dapprima per le Edizioni di Comunità e poi, di volta in volta successivamente, per Bompiani, Astrolabio, Einaudi e, appunto, Adelphi, Bazlen, sconosciuto ai più ed idolatrato dai pochi che ebbero la ventura di conoscerlo e di vederlo all’opera, è, per quel che lo riguarda personalmente, autore di non molti brevi saggi e di un unico romanzo: ‘Il marinaio di lungo corso’.

Mi piace qui ricordarlo per una lezione di realismo che, appena ventiseienne, seppe dare ad Eugenio Montale, colpevole, a suo vedere, di avere scritto una commemorazione dell’appena scomparso Italo Svevo (triestino come Bazlen) che troppo si prestava “a far sorgere la leggenda di uno Svevo borghese intelligente, colto, comprensivo, buon critico, psicologo, chiaroveggente nella vita” nel mentre chi bene lo conosceva sapeva che “non aveva che genio.

Nient’altro.

Del resto, era stupido, egoista, opportunista, gauche, calcolatore, senza tatto…

La leggenda di una sua ‘nobile’ esistenza (dedicata per il vero unicamente a far soldi) è troppo penosa, è troppo ignobile”.

Ettore Schmitz, così si chiamava in realtà Svevo – lo conferma Chiara nel suo ‘Sale e Tabacchi’ – ebbe una esistenza qualsiasi benché folgorata da uno straordinario dono narrativo “accolto tra un affare e l’altro non senza considerarlo un affare come gli altri”.

E, d’altronde, gli scrittori, i poeti e, in genere, gli artisti non devono essere esempi di vita benché molti, invano, a ciò aspirino quasi più che alla gloria.

Mauro della Porta Raffo