La dicotomia italiana

Il nostro è uno strano paese che sa eccellere e stupire sia in un verso che in quello opposto; è ricco di contraddizioni e paradossale al contempo e la prima contraddizione che attiene al tema del lavoro è quella che vede circa cinque milioni di persone che si impegnano senza essere pagate e oltre venticinque milioni che pur essendo pagate non si impegnano abbastanza.

Questo perché l’Italia pur avendo una produttività (ore lavorate globali, tasso di innovazione e costo del lavoro per unità di prodotto) tra le meno significative dei paesi industrializzati, ha un export importante e un attivo della bilancia commerciale inferiore, in Europa, solo a quello della Germania.

Infatti le nostre 110 PMI di eccellenza, quelle per intendersi del quarto capitalismo, realizzano risultati migliori sia in termini di fatturato che di incremento di occupazione di quelle del resto d’Europa; rispettivamente più 219% e 54% rispetto a più 100% e 43%, come attesta il London Stock Exchange Group nella sua analisi, dell’ultimo triennio, sulle mille piccole e medie aziende continentali a maggior sviluppo.

Questa situazione schizofrenica evidenzia che non ostante gli oltre 20 gap del nostro sistema politico, economico, territoriale e sociale, rispetto agli altri paesi concorrenti, l’Italia è in grado di offrire al mondo intero manufatti e servizi appetibili e apprezzabili e questo benché manifesti un’eccessiva disomogeneità della struttura produttiva e distributiva, occupando nella tassonomia di Pavitt punte di straordinaria eccellenza in due comparti (prodotti per la persona, la casa e le macchine che li realizzano) e di assoluta mediocrità negli altri due ( prodotti in economia di scala e innovativi tecnologicamente).

Se questo importante risultato in termini di export e attivo commerciale è stato reso possibile solo da un limitato numero di imprese e in solo due settori, significa che il resto del Paese è in grave ritardo e il guaio è che la parte del paese che funziona non è in grado di chiudere la forbice che la separa dalla stragrande maggioranza del sistema economico ancora arretrato e poco competitivo.

Per sostenere l’intero paese, quindi, occorre una politica industriale che accresca il numero delle imprese innovative e competitive globalmente, in modo da far si che sia possibile ottenere una distribuzione più equilibrata di benessere, reddito, lavoro, produttività ed equità.

Deve essere questo, pertanto, il ruolo della politica se vuole arrestare il suo declino e favorire il progresso del paese, adoperarsi per eliminare quelle sovrastrutture burocratico/formali e sociali che impediscono alle imprese e ai corpi intermedi di svilupparsi, aumentare occupazione e produttività ed accrescere la competitività, con un’attenzione assoluta ai temi ambientali e all’economia circolare e del riuso condiviso e reciprocamente profittevole.

Tutto ciò significa agire consapevolmente sulla Pubblica Amministrazione, sull’istruzione e formazione, sulle infrastrutture reali e virtuali, sulla giustizia, sul riassetto territoriale, sullo sradicamento della corruzione, sulla valorizzazione dei talenti, sul riequilibrio della fiscalità per ridurre le iniquità e per semplificare i processi che con il permanere delle rendite di posizione, inceppano i meccanismi economici, distorcono gli equilibri sociali e inibiscono la crescita.

Per ottenere risultati significativi sarebbe indispensabile una politica in grado di porsi come obiettivo uno sviluppo sostenibile e distribuito per ottimizzare l’impiego delle risorse, la loro ridistribuzione e la coesione del sistema Italia e aiutare le imprese migliori a migliorare ancora le performance e le altre ad intraprendere il percorso virtuoso del cambiamento nei modelli di business e nei metodi organizzativi e gestionali.

Le proposte per ottenere questi risultati possono anche divergere tra le differenti forze politiche, ma debbono però fondarsi su un metodo focalizzato alla verifica e conoscenza della cornice economica di riferimento, su visione e programmazione di medio/lungo periodo, su processi decisionali efficaci e implementazione rapida nell’attuazione e con capacità, etica ed equità che sappiano superare l’attuale superficialità, iniquità, frammentarietà ed improvvisazione nelle presunte soluzioni che vengono messe in campo.

Luigi Pastore