Quando viene davvero eletto il Presidente degli Stati Uniti?

Lasciamo da parte la prima volta.
Si votò difatti dal 15 dicembre 1788 al 10 gennaio 1789 e dal nostro punto di vista non fa testo.
Le elezioni successive, dal 1792 al 1844, queste ultime comprese, per ragioni legate alle difficoltà di movimento, erano programmate nell’arco di un mese abbondante, e, ove si escluda qualche giorno per il solito dicembrino, si svolgevano in novembre.
Era difatti il penultimo mese dell’anno quello relativamente più tranquillo per i contadini e gli allevatori, allora largamente prevalenti nella popolazione attiva.
È pertanto solo dalla tornata elettorale del 1848 (la disposizione di legge è di tre anni prima) che si vota in un unico giorno: “il primo martedì dopo il primo lunedì del mese di novembre dell’anno bisestile”.
In ventiquattro ore perché finalmente i mezzi di trasporto lo permettevano.
Nell’anno bisestile, per semplice coincidenza, essendo le urne state convocate la seconda volta nel 1792, appunto un bisestile, e durando il mandato quattro anni.
Di novembre perché si era verificato che effettivamente si trattava del mese giusto.
Dì martedì perché non si poteva votare la domenica ‘giorno del Signore’ e perché (si era a metà Ottocento) occorreva lasciare comunque il tempo – il lunedì – agli elettori di recarsi ai seggi, non numerosi e distribuiti ovunque come oggi.
Non semplicemente il primo martedì, perché periodicamente sarebbe coinciso con Ognissanti, festività religiosa.
È quindi in tal modo identificato – anche per il futuro, ragione per la quale si sa quando gli americani voteranno, che so?, nel 2044 – il giorno nel quale gli statunitensi si recano alle urne.
Per eleggere il Presidente?
Per carità!
Per scegliere Stato per Stato i cosiddetti ‘Grandi Elettori’, i delegati ai quali compete dipoi la ‘vera’ elezione.
Al giorno d’oggi, i signori in questione sono cinquecentotrentotto.
Ciascuno Stato ha diritto a tanti ‘Grandi Elettori’ quanti sono, tra Camera e Senato, i suoi parlamentari federali.
Il totale è cinquecentotrentacinque ma a questi si aggiungono tre delegati del Columbia D.C., cioè, in buona sostanza, della capitale Washington.
Tranne che nel Maine e in Nebraska, chi vince il voto popolare prende tutti i ‘Grandi Elettori’ (‘winner take all’).
Per inciso, è proprio perché i risultati contano a livello dei singoli Stati che non si considera il suffragio popolare dell’intero Paese e si può arrivare alla Casa Bianca prendendo meno voti del contendente.
Essendo cinquecentotrentotto i delegati la maggioranza assoluta è fissata a duecentosettanta.
(Oggi, perché, per esempio, prima delle votazioni del 1960, non essendo ancora Stati dell’Unione le Hawaii e l’Alaska, erano in numero inferiore mentre se domani dovesse aggiungersi un nuovo Stato – Portorico? – aumenterebbero).
Accade, pertanto, che seguendo lo spoglio delle schede e vedendo i risultati (ancora prima, gli exit polls e le proiezioni), si arrivi, allorquando uno dei candidati abbia raggiunto il fatidico numero di ‘Grandi Elettori’ a lui collegati, a dichiararne l’elezione.
Una forzatura mediatica oramai non rilevata come tale, ma sempre una forzatura.
Perché?
Perché il Presidente è invece ufficialmente eletto “il primo lunedì dopo il secondo mercoledì del successivo dicembre” dai più volte citati cinquecentotrentotto delegati, riuniti Stato per Stato nel cosiddetto ‘Collegio Elettorale’.
I verbali delle sedute del ‘Collegio’ vengono inviati al Congresso che, insediato il 3 gennaio dell’anno successivo, il giorno 6, ‘certifica’ l’elezione.
L’eletto entra in carica alle ore dodici del 20 del predetto gennaio.
La solenne cerimonia comprende il giuramento (per il vero, si può dare in alternativa la propria parola d’onore) e il discorso d’insediamento.

Per la necessaria completezza di informazione, prima del 1937, anno seguente le votazioni del 1936, l’inizio del mandato era fissato al 4 marzo dell’anno successivo alla elezione.

Ulteriore precisazione: è solo in conseguenza dell’Emedamento approvato nel 1951 che “non si può essere eletti” alla Presidenza (non ci sono invece e di contro limiti ai mandati congressuali) più di due volte.
Da sottolineare che il citato XXII Emendamento parla di due elezioni, non di un limite di otto anni, come volgarmente si dice.
Questo significa che un Presidente vincente in due occasioni (non importa se consecutive) che per qualsiasi ragione – malattia, dimissioni… – non abbia portato a termine i due quadrienni, per quanto non sia rimasto alla Casa Bianca per otto anni non potrà più riproporsi.

Mauro della Porta Raffo