Bergoglio

Otranto, 30 giugno 2017

Semplificando (e ciascuna semplificazione comporta evidenti notevolissimi limiti apparendo, essendo, brutalmente priva di ogni sottigliezza).

Jorge Mario Bergoglio è un immigrato di seconda generazione di modesta origine familiare e limitata cultura di base.
Due – guardando all’humus – i profondi, dominanti, condizionamenti.
Per cominciare, la Chiesa Latino Americana (e ovviamente quella Argentina) della quale è espressione da lunghissimi decenni appare assolutamente, quasi unicamente, impegnata nel campo sociale.
Poi, non meno importante, la sua educazione risente grandemente del peronismo che ne ha accompagnato la giovinezza.
Va altresì ricordato come dal punto di vista generale dell’istruzione Bergoglio si appalesi da sempre alla rincorsa, mai riuscendo in effetti a colmare l’evidente – ne è consapevole, lo si coglie – manchevolezza.
Così, allo stesso modo e più gravemente, carente si dimostra – è stato rilevato in non poche occasioni – anche quanto all’aspetto dottrinale e teologico.
(Devastante il confronto in merito con il predecessore Benedetto!)
Il suo rifiuto di ogni evangelizzazione, del proselitismo (“la Chiesa non cresce per proselitismo ma per attrazione e testimonianza”, ha detto comportandosi usualmente di conseguenza) è la negazione del mandato ricevuto e lo condanna – con lui, naturalmente la struttura tutta – al sociologismo, ponendone l’intera attività sul piano di e in concorrenza con organizzazioni umanitarie (pseudo?) quali, per dire, ‘Save the Children’.
Incredibile che il Conclave lo abbia scelto, anche se non soprattutto, ricordando che la citata Chiesa Latino Americana, di Bergoglio madre, in tempi recenti – essendone il desso diventato uno dei massimi responsabili – fallendo, ha perso uno stuolo, milioni e milioni, di fedeli a favore delle diverse confessioni protestanti colà concorrenti.
Sociologo di seconda o terza categoria, Bergoglio affronta parlando tout court di ‘accoglienza’ il dramma dell’immigrazione.
È l’accoglienza senza costrutto, senza regolamentazione, senza programmazione e priva di ogni visione (perché la Chiesa bergogliana – gli Stati essendo latitanti – non crea una organizzazione che affronti organicamente il tema?) che provoca i nascenti e fra poco gravissimi contrasti tra italiani e stranieri e che getta allo sbaraglio gli immigrati stessi, costretti, nell’abbandono sostanziale, all’accattonaggio, a soggiacere alle mafie, alla prostituzione, al malaffare.
Certo, con qualche resistenza invano messa in atto, è dalla morte di Pio decimo secondo – ottobre 1958 – che il Soglio e il mandato pontificio vengono confusi dai differenti papi con altro.
È da quella data che i successori di Eugenio Pacelli pensano e agiscono in funzione del consenso, quasi la Chiesa fosse un movimento politico che cerchi e chieda voti e simpatie.
È da quella data che i papi – lungi dal limitarsi, e raramente, quando necessario, alla dottrina – in televisione e comunque, straparlano intervenendo ogni giorno, più volte al giorno, a proposito di qualsiasi argomento ed emergenza arrivando a confondersi, a perdersi, nel marasma mediatico.
È un papà di tal fatta estremamente gradito ad atei ed agnostici nei confronti dei quali non opera per convertirli compiacendosi di essere loro gradito.
Del resto, che in direzioni abissali di tal fatta potesse volgere il pontificato del Nostro risultò evidente nel momento preciso in cui se ne annunciò il nome.
E questo sia che del santo si pensi tutto il bene possibile, sia che si opini decisamente male.
Nel primo caso, troppo alto, inavvicinabile, essendo il modello e improponibile un’azione a lui ispirata se non per misera, bassa imitazione.
Nel secondo, considerando il fatto che il ‘poverello d’Assisi’ altro non era – e tale lo considerò il nipote del Saladino quando lo incontrò – che un malato psichico grave.

Mauro della Porta Raffo