Riflessioni su Piero Chiara

Bob Morse – forse il più grande giocatore di basket USA mai arrivato in Italia – insegna Letteratura Italiana all’università della Virginia. Ama Piero Chiara, Varese e il Varesotto. Ecco le sue note sullo scrittore luinese del quale ha tradotto in inglese quattro racconti. – MdPR

 

30 settembre 2016

 

Ho deciso di scrivere la mia tesi di laurea per il Masters all’Università di Virginia (USA) scegliendo quattro racconti tipici di Piero Chiara da tradurre dall’italiano all’inglese.

Agli italianisti degli Stati Uniti il nome di Piero Chiara è quasi sconosciuto; alcuni professori italiani da giovani mi hanno detto che avevano letto qualche suo racconto, ma nessuno lo considera fra i grandi scrittori italiani del ventesimo secolo.

I suoi racconti non compaiono quasi mai nei raccolti di ‘short stories’ usati nei corsi universitari di letteratura italiana in America; questo accade nonostante le sue opere abbiano incontrato grande successo con il pubblico italiano durante la sua vita.

Si spiega questo effetto forse perché Chiara era in sostanza un autodidatta rimasto fuori dai grandi circoli letterari ed accademici in Italia e di conseguenza non preso sul serio dagli italianisti in America o altrove.

L’ho scelto per la mia tesi per vari motivi.

Volevo prendere una strada diversa dai soliti argomenti su Dante o Manzoni, anche perché allora nel 2007, credo che nessun’opera di Chiara fosse mai stata tradotta in inglese e volevo che i miei colleghi e studenti lo conoscessero.

Sono dell’opinione che Chiara sapesse raccontare ‘fatti’ della vita nei paesi in tutte le loro sfumature e descrivesse con grande intuizione la condizione umana in modo divertente simile al Boccaccio.

La mia ragione principale, però, risiede nel fatto che le sue opere in gran parte sono strettamente associate con la vita provinciale del Lago Maggiore, in particolare con il Varesotto.

Ho avuto la grande fortuna di vivere a Varese e in Valganna per quasi un decennio durante la vita di Chiara.

Anche se non ci siamo mai incontrati, ho ricevuto una copia di Le corna del diavolo autografata con dedica che un mio grande amico, Massimo Lucarelli, mi ha regalato e che tengo come prezioso legame al Chiara.

Avendo passato molti begli anni a Varese ed essendo diventato amante della bellezza dei suoi paesaggi, quasi tutti gli anni ci torno a trovare cari amici e i miei concittadini (essendo cittadino onorario dal 2009).

Riesco a individuare molti dei luoghi in cui sono ambientate le opere di Chiara e riconosco piuttosto bene anche la mentalità e le abitudini del tipico personaggio che descrive.

Credo che la sua prosa sia composta per massimizzare l’impatto di quello che racconta invece di cercare di impressionare il lettore con la sua intelligenza o virtuosità come scrittore.

Mi ricorda due autori americani a me cari, Hemingway e Steinbeck, che hanno fatto strada con il loro stile diretto e schietto.

Risulta che il lettore può benissimo identificarsi con i suoi personaggi perché sono credibili, e perché rappresentano fedelmente i pregi e difetti di molti di noi.

I suoi narratori in prima persona sembrano reali perché condividono la vita provinciale, e sono osservatori astuti e intelligenti, ma non troppo.

 

Una nota personale: apprezzo Chiara come autore anche perché era un lavoratore produttivo, efficace, ma non ostentatore; queste sono qualità che ammiro in persone impegnate in qualsiasi settore della vita, e che cercavo sempre di realizzare durante il mio lavoro sui campi di basket quando giocavo per la Pallacanestro Varese.

Bob Morse