“Quando un uomo dice di no allo Champagne dice di no alla vita”

Cinema e champagne

“Vado a letto solo con addosso una goccia di Chanel n°5 e mi alzo con un bicchiere di Piper-Heidsieck che mi riscalda il corpo”.

Così Marilyn Monroe nel libro autobiografico scritto poco prima di morire, prematuramente.

Peccato che si ricordi, della frase, solo la parte relativa al profumo, e si ometta, chissà perché, il riferimento allo champagne.

Che negli anni Cinquanta e Sessanta, dentro e fuori la storia del cinema, era considerato consono anche alle signore, specie dell’alta società, come perfetta bevanda di classe trasversale ai generi.

Sessuali, si intende, ma anche cinematografici.

Di coppe di champagne sono pieni film di ogni epoca, e se gli italiani, forse un po’ più nazionalisti in fatto di bollicine, non hanno fatto grande uso su grande schermo dello spumante francese (citiamo, come eccezione, il non dimenticato, per il suo retrogusto trash, Champagne in paradiso con Al Bano e Romina Power, 1984), americani, inglesi, ovviamente francesi, non hanno lesinato nella mescita dell’alcolico con brio, con o senza varianti.

“Bere Dom Perignon del ’53 a una temperatura superiore ai quattro gradi centigradi sarebbe come ascoltare i Beatles senza tappi nelle orecchie”.

Così James Bond in Agente 007 – Missione Goldfinger (1964), frase giustamente celebre che testimonia la sua fedeltà allo champagne.

Quello preferito dal Bond di Sean Connery è appunto il Dom Perignon, ma con l’avvento di Roger Moore l’etichetta cambia.

Il produttore della serie, Albert Cubby Broccoli, diventa infatti, all’inizio degli anni Settanta, amico del direttore della maison Bollinger, Christian Bizot, con il quale decide di stringere un accordo commerciale. A partire dal già citato Agente 007 – Vivi e lascia morire (1973) James Bond diventa il più importante testimonial dell’etichetta francese.

Spesso gli sceneggiatori adattano il product placement alle storie e ai dialoghi, come nel caso gustoso di Moonraker – Operazione spazio (1979). Al Danieli di Venezia 007 si introduce, non propriamente invitato, nella camera da letto di una agente della Cia sotto copertura interpretata da Lois Chiles, e vedendo vicino al letto, nel cestello del ghiaccio, una bottiglia di Bollinger RD esclama: “Se è del ’69, lei aspettava me”.

Nel 2006 nasce Bollinger 007, un Bollinger Grande Année del 1999 contenuto in una confezione d’acciaio a forma di proiettile.

La collaborazione tra il brand cinematografico e lo champagne si è rinnovata in occasione dell’uscita dell’ultima avventura della spia, Spectre (2015), con l’edizione limitata del Bollinger Spectre Crystal Set.

Con una bottiglia di Crystal in mano entra in scena anche Quentin Tarantino, per una volta attore, in un episodio del film collettivo Four Rooms (1998), ambientato in un hotel, con Tim Roth ‘bellboy’ a fare da tramite tra le varie camere.

Lo champagne che porta il regista finirà per impreziosire un cocktail.

Un dettaglio significativo: spesso nel cinema americano il più celebre spumante del mondo viene utilizzato come componente per bibite complesse.

Uno dei più famosi impieghi è non a caso in Casablanca (1942): Bogart offre a Ingrid Bergman una classica coppa con dentro un mix poi diventato di ‘serie’ (nel senso che è facile trovarlo su più listini, anche nei locali) chiamato appunto Casablanca cocktail champagne, così composto: due cl di brandy, otto cl di champagne, fetta d’arancia, una zolletta di zucchero, due gocce di angostura.

Certo, nei bar mancherà sempre l’ingrediente finale, Bogart che sussurra “Alla tua salute, bambina”, ma può venire in aiuto l’immaginazione.

Analoga situazione per Il grande Gatsby.

In entrambe le versioni cinematografiche, quella con Robert Redford del 1974 e quella con Leonardo DiCaprio del 2013, lo champagne scorre a fiumi; del film più recente è addirittura un’immagine di Gatsby con in mano una coppa dal contenuto inequivocabile a svettare sul manifesto pubblicitario.

Tuttavia anche Jay Gatsby è soprattutto consumatore di un cocktail, il Gin Rickey, di cui lo champagne è un ingrediente (benché quello dominante sia il gin).

Si intitola Champagne uno dei primi film di Alfred Hitchcock, ancora nell’epoca del muto (1928), storia di una ragazza viziata, figlia di un miliardario americano, che vive una vita fatta di capricci e sprechi e si ritrova, dopo il ripudio del padre, a fare la entraîneuse in un locale notturno.

Il maestro del brivido ha spesso utilizzato lo spumante francese nei suoi film, persino come ‘mcguffin’ (in Notorious – L’amante perduta, 1946, Claude Reims scopre Ingrid Bergman insieme a Cary Grant quando scende in cantina perché è finito lo champagne: proprio lì ha nascosto le bottiglie contenenti l’uranio che dovrebbe servire per un complotto filonazista).

In Nodo alla gola, 1948, uno dei film più perfetti di Hitchcock, il protagonista Farley Granger e il suo complice, dopo avere commesso un delitto e avere nascosto il cadavere in una cassapanca del salotto, bevono champagne per allentare la tensione (un vero e proprio brindisi). In Anastasia di Anatole Litvak (1956) è ancora Ingrid Bergman a sostenere, seduta al tavolo di un night club, di non amare lo champagne, ma alle lusinghe delle bollicine cede al secondo bicchiere.

Al maestro di Billy Wilder, Ernst Lubitsch, si deve un’altra memorabile scena in Ninotchka (1939, peraltro da Wilder sceneggiato).

La donna del titolo, interpretata dalla divina Greta Garbo, è un severo commissario del popolo spedito da Stalin a Parigi per gestire la vendita all’asta di ori e gioielli dei Romanoff.

La Ville Lumiere ha però anche su di lei la meglio, soprattutto il fascino di un giovanotto dai modi aristocratici, un po’ fanfarone, tal Lèon, il quale la invita naturalmente a cena e le offre una coppa di champagne.

Al primo sorso Greta Garbo pare disgustata, ma appena le bollicine fanno effetto si illumina d’immenso e la metamorfosi romantica ha inizio.

Concludiamo con una sequenza formidabile tratta da un grande film: Il cacciatore di Michael Cimino (1978).

Nick, il personaggio interpretato da Christopher Walken, sconvolto per le violenze fisiche e psicologiche subite dai vietcong sul fronte di guerra, si addentra in cerca dell’amico Mike nei peggiori bassifondi di Saigon.

Nel retrobottega di un locale notturno, il Mississippi, sente un colpo di pistola e si accorge che da una porta laterale viene trascinato il corpo di un uomo appena morto, con una fascia rossa sulla testa.

Capisce subito di cosa si tratta: una bisca clandestina dove si punta forte alla roulette russa.

Nel prosieguo della storia proprio Nick, sempre più devastato e ormai succube dell’eroina, diventerà con il nomignolo di ‘l’americano’ un asso riconosciuto della roulette russa, e sarà Mike (Robert De Niro) a ritrovarlo giusto in tempo per vederlo ucciso dal proiettile fatale.

Tornando alla nostra scena, Nick viene accolto nel vicolo dal gestore della bisca e del locale, un francese che prima di invitarlo al tavolo della roulette russa, di fatto inducendolo al futuro suicidio, gli offre dello champagne.

Nick rifiuta, e il francese insiste con una frase divenuta celebre (e nel film di Cimino fortemente emblematica): “Quando un uomo dice di no allo champagne, dice di no alla vita”.

Mauro Gervasini