Tic.
Non uso posacenere se fumo
e sotto l’acqua spengo il mozzicone,
quindi occulto ogni prova nel bidone
ben capace della spazzatura.
E lì una cicca dopo l’altra cade
( occhio non vede così cuore non duole );
ma poi lui rientra, annusa e disapprova
ma tace, perché tanto a cosa vale
il solito discorso di rottura:
“ Se ti vuoi suicidare fallo pure
ma guarda in faccia la tua situazione;
conta, conta le cicche che ci sono!
Senti che tanfo c’ è di sepoltura!
Non te lo senti tutto nei polmoni? ”
E per istinto di conservazione
ora getto le cicche dal balcone.
Ancora anelli.
Chi può giurare che sia Itaca
la terra che si profila
a est, così trepida e viva
nel mattino incipiente:
vi sono consistenze
che se le tocchi si diradano,
falsi contorni da cui sbava
la vacuità del centro.
T’ inseguii a sufficienza
su tracce d’anelli di fumo,
Itaca. E un presunto profumo
stavolta non mi tenta.
La funzione.
La funzione fa l’ organo. Foreste
intere diradarono e dai rami
l’ uomo discese. Risultato: queste
gambe più lunghe e leste con cui invano
sotto le stelle ignote d’altri lidi
sfuggire a ciò che dentro ci portiamo.
E queste belle braccia con cui al petto
stringemmo il mondo, adesso fanno nido
al solo niente che ci dà diletto:
questo filo di fumo, questo filo
che non si palpa perché è niente, eppure
ci segue ancora e, aspira che ti aspira,
lascia come la molle sbavatura
d’una lumaca, un segno: questa ruga
qui sotto il labbro che ora più non ride
proprio per questo segno che l’ oscura.
Un solco che sarà presto un burrone.
( Di regola. Ma io
spero nell’ eccezione ).
Clara Monterossi