Nobel per la fisica 2015, per la quarta volta il Neutrino

Takaaki Kajita dell’Università di Tokio e Arthur McDonald della Queen’s University a Kingston, Canada, hanno vinto il Nobel della Fisica per le loro ricerche sul neutrino risalenti al 1998.

Questa è la quarta volta che il neutrino si aggiudica il premio Nobel: 1988, 1995, 2002.

I due ricercatori hanno dimostrato che questa strana particella -priva di carica elettrica e che interagisce pochissimo con la materia ordinaria – oscilla tra tre diverse forme, o per meglio dire stati o sapori come amano definirli i fisici, assumendo tipologie diverse; perciò non può essere priva di massa come era stato ipotizzato in un primo tempo.

La sua esistenza fu introdotta teoricamente dal fisico Wolfgang Pauli nel 1930, ma la prima osservazione arrivò molti anni dopo, nel 1956.

Ogni secondo di ogni giorno un flusso di neutrini ( più di sei trilioni) provenienti dal sole e dallo spazio ci passano attraverso senza che noi ce ne accorgiamo.

Takaaki Kajita dell’Università di Tokio e Arthur McDonald della Queen’s University di Kingston
Takaaki Kajita dell’Università di Tokio e Arthur McDonald della Queen’s University di Kingston

Ma perché questa particella imprendibile suscita tanto interesse?

Si può considerare una specie di jolly che lega la fisica delle particelle all’astrofisica; sfuggente, inafferrabile è presente sulla terra negli acceleratori- tipo quello del Cern a Ginevra-, sul Sole, nell’atmosfera e negli spazi più remoti dell’universo all’inizio della sua formazione.

Proprio per il fatto di essere praticamente insensibile a qualunque tipo di interazioni con la materia, è testimone di un passato da brivido, protagonista indiscusso di eventi grandiosi come l’esplosione di supernove e collassi gravitazionali ed è quindi essenziale per la comprensione della natura sia su scala microscopica che su scala macroscopica.

E potrebbe fornirci informazioni preziose sulla anomalia tra materia e antimateria che è attualmente uno dei settori di indagine d’avanguardia.

Ma riuscire a osservare i neutrini non è né comodo né facile.

Innanzi tutto si è costretti a lavorare   in laboratori sotterranei dove gli effetti di disturbo dei raggi cosmici vengono schermati da chilometri di roccia.

Poi occorre avere rivelatori molto grandi e costosi e tanta, tanta pazienza.

E non è finita.

Perché quando Ray Davis nel 1970 in un laboratorio del Sud Dakota situato in una miniera abbandonata osservò i neutrini solari, si rese conto immediatamente che i conti non tornavano, dal momento che ce n’erano circa un terzo di quelli previsti.

Quindi o la teoria che spiegava il funzionamento del nostro Sole era da rivedere, oppure l’esperimento era sbagliato, oppure si doveva rivedere lo schema che spiegava la struttura delle particelle elementare, il cosiddetto Modello Standard, che prevedeva massa nulla per il neutrino.

Questo era infatti l’errore.

Il mistero venne risolto quando, grazie a rivelatori molto sensibili e a molte misure e osservazioni, i due premi Nobel riuscirono a capire che i neutrini mancanti non erano in realtà mancanti ma durante il tragitto tra il sole e il rivelatore cambiavano identità presentandosi sotto un’ altra forma.

Ci sono quindi tre tipi di neutrini legati a tre particelle elementari ( elettrone, muone, tau) che si trasformano uno nell’altro, e se così è, la massa del neutrino non può essere nulla.

L’ ipotesi dei tre tipi di neutrino era già stata avanzata a metà del secolo scorso da un grande scienziato italiano, Bruno Pontecorvo che abbandonata l’Italia e il gruppo di Fermi durante l’ultima guerra, visse e lavorò in Unione Sovietica fino alla fine degli anni Ottanta, e conferma inoltre l’idea di un altro grandissimo scienziato italiano, Ettore Majorana, che fin dal 1937 aveva previsto che il neutrino era dotato di massa, piccola ma significativa.

Come se non bastasse in Italia, presso il laboratori INFN del Gran Sasso un esperimento recente ha dimostrato che un fascio di neutrini sparato dal Cern ha percorso indisturbato sottoterra circa ottocento chilometri che separano Ginevra dal laboratorio italiano trasformandosi durante il tragitto da un tipo in un altro.

Ludovica Carlesi Manusardi