Reminescenze

Ricordati che ci siamo visti molto tempo fa.

 

La strada acciottolata,

il profumo di lavanda,

i sandali capresi che scoprivano le dita lunghe dei miei piedi abbronzati.

 

Il paesino è medievale,

non amo la gente del posto,

sono un po’ beceri e maltrattano gli italiani.

 

Ma tu sei francese, no?

Lo sei stata molte vite fa, mi dici con una smorfia.

 

Come al solito non ti capisco,

sei stufo.

 

C’era un incendio in città e noi ci siamo rifugiati qui:

un vecchio casale con la torre,

il granaio e tanti fiori.

 

C’era una bandiera,

c’era del fieno,

una finestra con le persiane rosse,

il cancelletto in ferro aperto,

tu che scrivevi al tavolo di fronte al camino.

 

Non eravamo felici.

 

O forse sì?

 

Me ne stavo seduta sul muretto di fronte alla cucina,

le braccia conserte come un ragazzino arrabbiato,

leccavo la pelle del braccio che sapeva di sale.

 

Avevo i capelli lunghi fino all’ombelico,

intrecciati sempre a dell’edera e a dei mughetti,

un grembiule lilla,

un abito di lino.

 

I mughetti sono bianchi,

piccoli,

indifesi,

il loro profumo è delicato,

è come la bruma del mare.

 

Me li regalavi tu, anche quando non era stagione,

te ne sparivi e tornavi con una cassetta colma:

mi dicevi di sedermi e iniziavi a legare i piccoli fiori candidi all’edera e ai miei capelli.

 

Talvolta mi facevi male, ma non permettevi che mi voltassi fino a che non avevi finito,

poi mi portavi in camera davanti allo specchio del grande armadio antico e tenendomi stretta per le spalle affondavi il viso nella chioma così lavorata.

 

La vertigine.

 

Chiudevo gli occhi,

 

Piangevo?

 

Non so.

 

Il villaggio non ci amava…

“L’artista e la sua selvaggia compagna,

vanno in giro quando piove,

lei è quasi sempre a piedi scalzi,

lui porta un cappello di paglia anche d’inverno,

dicono discenda da un vecchio bretone mezzo mago e mezzo pazzo.

Hanno comprato quel vecchio rudere,

lei e i suoi capelli da strega”

 

Non avevamo bruciato noi la città da cui eravamo fuggiti quella notte, perché fuggivamo allora?

 

Ci sono cose che non vedo più,

ma poi mi sorridi e ricordo la nave che ti portò via quel giorno.

 

Corsi al porto,

era l’alba,

non vedevo che i contorni delle case immerse nella nebbia,

sentivo la strada umida e scivolosa,

gli odori forti del molo,

delle reti e delle sudice locande che pigramente si svegliavano fra lamenti e deliri di ubriaconi gettati per terra.

 

Dove vai?

 

Tieni il casale,

il granaio,

la bandiera,

me ne vado.

 

Ci rivedremo?

 

Chissà?

 

Un turbinio,

delle capriole,

due anime che danzano lungo l’asse del tempo.

 

Un locale alla moda con musica lounge.

“Piacere sono….

ma ci conosciamo, per caso?”

Federica della Porta Rodiani