Il tradimento di Doris Day

Nato nel 1944, ho vissuto nel buio accogliente delle sale cinematografiche insieme a milioni di coetanei o pressappoco (la televisione, fortunatamente, non c’era e i cinema erano strapieni) una buona parte della fanciullezza.

All’epoca, i film imperdibili per un giovincello mio pari erano i western e le commedie americane ‘alla Doris Day’.

Mi sono così ‘costruito’ nella mente un’America ideale laddove, in pieno Ottocento, nel Texas o in Arizona, i bravi cow boys, naturalmente anche buoni, belli e coraggiosi, vincevano sempre (se tutto sembrava volgere al peggio, ecco arrivare al galoppo la cavalleria) e nella quale, quasi un secolo dopo, a New York, a Los Angeles o a San Francisco, le dolci e carinissime signore, eleganti, cinguettanti e felici, vivevano una vita da favola circondate come erano dall’amore del maritino, dall’affetto dei figli biondi e floridi, dai mille elettrodomestici allora sconosciuti in Italia.

Si restava a bocca aperta nel vedere Doris Day che usava l’aspirapolvere, la lavatrice o il frigorifero con assoluta naturalezza!

Doris Day
Doris Day

Ecco, insieme al fatto che gli americani ci avevano liberato (ma questo non riguardava noi ragazzini che non ne eravamo coscienti), il perché dell’America del sogno che ha dominato le menti di quanti, non anti americani per questioni ideologiche come i comunisti, crescevano in Italia nella seconda metà degli anni Quaranta e nei Cinquanta.

Capita, però, che alcuni (ed io tra loro) comincino presto a leggere quasi con bramosia Ernest Hemingway, James Cain, Erskine Caldwell, Francis Scott Fitzgerald, John Dos Passos, Sinclair Lewis e, soprattutto, Dashiell Hammett e Raymond Chandler (per quel che riguarda la squallida vita delle città) e John Steinbeck, capace di affreschi inimitabili, e, qualche anno dopo, quelli della ‘Beat Generation’, da jack Kerouac a Allen Ginsberg a Gregory Corso, e si rendano in tal modo conto che c’è ‘anche’ un’altra America, che la dominante Hollywood aveva nascosto.

Una qualche delusione, ma, almeno per me, la nascita di un secondo amore (che non cancella assolutamente il primo) indirizzato ad un Paese rivelatosi pieno di contraddizioni ma ricco oltre ogni dire di fermenti culturali.

Talmente ricco da questo punto di vista da fornire agli antiamericani materia per nutrire il loro odio: chi mai, infatti, è altrettanto duramente critico nei riguardi dell’America dei radicali della sinistra statunitense e di gran parte degli scrittori or ora elencati?

Ecco, alla fine, io e moltissimi altri restiamo ‘americani’ malgrado John Wayne, in mille e mille pellicole, Alan Ladd, soprattutto nel mitico ‘Il cavaliere della valle solitaria’, e la commediante Doris Day ci abbiano in qualche modo ‘tradito’ raccontandoci di un Paese da leggenda o da favola per il vero inesistente.

Restiamo ‘americani’ perché amiamo quell’immenso crogiolo di differenti e contraddittorie culture, la democraticità di fondo e, per quanto in particolare mi riguarda, le formidabili istituzioni USA capaci come sono di funzionare.

Mauro della Porta Raffo