La tenuta democratica della Svizzera

Siccome crocianamente parlando ammetto di non potere non dirmi svizzero, per tener alto il dibattito mi riferisco dapprima alla adesione ai princìpi d’una nazione che ha fatto strame del giacobinismo elitario.

Lo stesso che si arroga il diritto di interpretare, come la cartomante il futuro, il bene comune procedendo di conseguenza.

E così riducendo a simulacro la democrazia che infatti, in loro mani, s’è mutata in oligarchia.

La tenuta democratica della Svizzera si manifesta, invece, nella pratica di sottoporre iniziative, programmi e progetti politici – ‘della’ politica – che dovessero coinvolgere gli interessi, il tornaconto materiale e ideale del popolo (sovrano), a referendum.

Dalla concessione a edificare liberamente nuove moschee (bocciato) alla realizzazione dell’autostrada del San Gottardo (bocciata), dal salario minimo da ventidue franchi l’ora (bocciato) alla introduzione di un tetto alla immigrazione (approvato) fino allo spinello legale (bocciato).

Basterebbe questo, ma c’è altro di più spiccio che mi fa sentir sorella la Confederazione elvetica.

Ed è un anacronismo, apprezzato da chi ama ancora la flânerie, fare due passi (attività estetica che s’oppone a quella utilitarista del footing, jogging e altre solerzie maratonetiche): la salvaguardia del pedone.

In altri Paesi, il nostro uno di questi, dove s’è incistato il mito futurista della velocità e della fretta come conquista sociale, il pedone è considerato meno che niente, al più un bighellone.

Uno che non sa stare al passo, è proprio il caso di dire, coi tempi.

Che intralcia, rallenta, ostacola l’arrembaggio al successo, al pecunio e al potere.

Essendo il pedone un di più, in tali contrade la società dinamicamente motorizzata ha preso possesso del suo, suo del pedone, spazio vitale: il marciapiede.

Sul quale, quando non protetto dai cavalli di frisia rappresentati dai ‘panettoni’, accomoda arrogantemente il proprio veicolo, fosse a quattro o a due ruote.

Ma questo è niente.

Sempre ivi il marciapiede è stato promosso ad arteria di scorrimento veloce della parte ecologista e dunque più politicamente corretta (e sgarbata) del popolo in movimento meccanico: i ciclodotati.

Sordi, per guarentigia ambientalista, al codice della strada e a quello dell’educazione civica.

E le strisce?

Da noi, quando l’attraversi l’incombente automobilista non rallenta, non allarga: ti punta.

Per far capire che il passaggio pedonale è una concessione della quale non conviene abusare.

In Isvizzera, diversamente, l’automobilista che scorge il pedone che s’accinge ad attraversare inchioda la propria auto a cento metri di distanza.

E attende a ripartire che il passante sia fermamente coi due piedi sul marciapiede opposto.

Marciapiedi sul quale, in Isvizzera, nemmeno alle biciclette, nemmeno ai monopattini è consentita la sosta o meno che mai la circolazione.

Tutto ciò a magistrale conferma che nella scala della gerarchia urbana in Isvizzera il pedone sovrasta il meccanizzato.

Chiaro segno, questo, di civiltà, di umanesimo.

Di signorilità, aggiungo.

E senza offesa per chi non lo è, a me piace stare fra signori.

Paolo Granzotto