La Svizzera nel Pallone: il ‘catenaccio’

Giovedì 23 ottobre 2014, a Berna, lo Young Boys ha sconfitto il Napoli due a zero.

I napoletani al seguito o emigrati l’hanno presa male, hanno aggredito il pullman della squadra alla quale hanno indirizzato cori irridenti.

Come dire – e l’hanno detto – che perdere con gli svizzeri è una vergogna.

Dimenticando i giocatori elvetici di qualità presenti in Italia, dallo juventino Lichtsteiner a Inler che gioca proprio nel Napoli, dal quale se ne sono appena andati Dzemaili e Behrami, quest’ultimo rimpianto ogniqualvolta la difesa napoletana sbanda.

Vergogna fu, in effetti, ma solo perché gli azzurri di Benitez avevano snobbato gli avversari.

Caricati a dovere dal popolo del San Paolo, al ritorno hanno chiuso la pratica con un tre a zero firmato dal gigante De Gouzman che s’è portato a casa il pallone…

Da cronista ho cominciato a interessarmi del calcio svizzero per una sorta di scherzo che si faceva a ‘Stadio’ quando veniva a farci visita una vecchia gloria del calcio felsineo, l’allenatore ungherese Giulio Lelovich, che un giorno era apparso in redazione salutandoci con un “Visto Grasshoppers?!” indirizzato a un vecchio collega che un giorno aveva deriso le ‘Cavallette’ di Zurigo reduci da una goleada.

Giulio era un signor tecnico al quale si doveva anche la scoperta di Bulgarelli, il vicino di casa che da ragazzino giocava in strada sotto la sua finestra.

E noi, impietosi, a sfotterlo con quel “Visto Grasshoppers?!”.

Finchè un giorno Aldo Bardelli ci riprese severamente: “Ignoranti, sarà ora che impariate cos’è il calcio svizzero…”.

Bardelli era il nostro capo che di calcio internazionale ne sapeva, visto che aveva fatto parte della commissione tecnica azzurra con Ferruccio Novo, il presidente del Torino, guidando la Nazionale al Mondiale del ’50 (ci si ricorda di lui soprattutto perché portò l’Italia in Brasile in nave, ancora spaventato dalla tragedia di Superga).

“Chi di voi ha visto il Mondiale del ’54 giocato in Svizzera?”

Avevo quindici anni, non m’interessavo di calcio ma quel Mondiale l’avevo visto perché era entrato per la prima volta nelle nostre case grazie alla neonata televisione.

Unico dettaglio per me memorabile, la finale Germania-Ungheria con i tedeschi vincitori perchè – vox populi – erano dopati.

Guidato da Bardelli, rispolverai le due sconfitte patite dagli azzurri: Svizzera-Italia 2-1 il 17 giugno 1954 a Losanna (il gol azzurro di tale Boniperti…), Svizzera-Italia 4-1 nello spareggio giocato a Basilea il 23, arbitraggio vergognoso del brasiliano Viana, violente proteste di ‘Veleno’ Lorenzi.

Il nostro ct era l’ungherese Czeizler, il loro l’austriaco-svizzero Karl Rappan.
“Cosa sa di Rappan?” – mi chiese Bardelli.

Niente.
“Cosa sa del Catenaccio?”

Qualcosa raccontai, anche perché avevo conosciuto Gipo Viani, l’inventore del ‘Vianema’, quel modulo nato quando ‘lo sceriffo di Nervesa della Battaglia’ allenava la Salernitana a cavallo della seconda Guerra Mondiale.

Bardelli – come Brera – rispettava il Catenaccio, duramente osteggiato dalla Scuola Napoletana di Antonio Ghirelli e Gino Palumbo:

“Con tutto il rispetto per il mio amico Gipo, il catenaccio è arte svizzera.

Si chiama verrou, in francese catenaccio, appunto.

L’ha inventato nel ’32, quando allenava il Servette…”

Gli odiatori del calcio italiano, quelli che ci sfottono dandoci dei catenacciari – soprattutto gli spagnoli capaci di digerire lo stucchevole tikitaka – non sanno nulla di Rappan, della sua idea meravigliosa e semplice: prese un giocatore dalla mediana e per rinforzare la difesa, composta di due terzini e uno stopper che marcavano a uomo, lo mise davanti al portiere, libero da marcature, ultimo baluardo difensivo prima del guardiano, primo costruttore del gioco di rimessa, alias contropiede.

Viani per coprire il ruolo di libero – definizione ufficializzata da Gianni Brera – rinunciava a un attaccante; Nereo Rocco, primo a utilizzare il libero in una squadra di prestigio, il Milan, era un maestro di catenaccio anche schierando quattro punte.

Mezzo secolo dopo, Josè Mourinho ha esaltato il verrou/catenaccio senza che i suoi adoratori lo sapessero.

Karl Rappan ha diffuso universalmente la sua idea meravigliosa fin dal Mondiale del ’38, quando guidava i rossocrociati che portò ad essere protagonisti anche in Svizzera nel ’54 e in Cile nel ’62, con prestazioni molto più importanti di quelle dell’Italia.

L’Italia, adottando per prima il suo intelligente modulo, ha vinto tutto, Mondiali e Coppe, adottando di volta in volta correttivi con Trapattoni, Bearzot, Capello e Lippi, sempre esibendo difese di grande valore ed esaltando il contropiede.

Don Fabio ha formulato il modulo ideale, nove-uno, summa filosofica del Calcio all’Italiana.

Oggi anche gli schizzinosi si adeguano: gli inglesi adorano Mourinho, gli spagnoli rispettano obtorto collo Ancelotti.

Spero che almeno Josè e Carlo si ricordino del Maestro austrosvizzero Karl Rappan, il Von Karajan del pallone.

“Visto Servette?!”

Italo Cucci