Gli ‘angeli’ di Coppi

Il prossimo 9 maggio, da Belfast, prende il via l’ennesima edizione del  Giro d’Italia. La città di Varese e la terra circonvicina  sono particolarmente legate alla ‘corsa rosa’ nella quale i varesotti si sono sempre magnificamente distinti vincendola con Luigi Ganna (nel 1909, prima edizione), cinque volte con Alfredo Binda, ancora con Stefano Garzelli e in due  occasioni con  Ivan Basso. Il varesino Cesare Chiericati è tra i massimi esperti e cultori delle due ruote e nell’articolo che proponiamo ci riporta sapientemente, attraverso le testimonianze da lui raccolte dei gregari di Fausto Coppi, ai mitici anni Quaranta e Cinquanta, quando il ciclismo era – ascoltate, ascoltate –molto più importante del calcio! – MdPR

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“Correre con Coppi è stata la fortuna della mia vita.

Prima facevo il muratore e correvo dietro a Serse, suo fratello minore, quando lo vedevo passare in allenamento.

Si diventò amici e lui mi portò da Cavanna che mi frugò ben bene i muscoli e poi disse ‘questo dobbiamo farlo correre’.

Come professionista iniziai con la Bianchi nel ’49, avevo già venticinque anni”.

I primi di settembre di otto anni fa Andrea Carrea detto Sandrino, classe 1924, morto di infarto nell’aprile 2013 nella sua casa di Cassano Spinola (Alessandria) era salito di nuovo a Castellania per incontrare i suoi compagni di pedale.

Stavo realizzando un documentario dedicato ai gregari dei grandi campioni, italiani e svizzeri, degli anni ’40 e ’50.

Fausto Coppi (a sinistra) durante un allenamento invernale con i suoi gregari Ettore Milano e Sandrino Carrea (foto www.gazzetta.it)
Fausto Coppi (a sinistra) durante un allenamento invernale con i suoi gregari Ettore Milano e Sandrino Carrea (foto www.gazzetta.it)

Ettore Milano, anche lui scomparso il 21 ottobre 2011, aveva convocato alcuni fedelissimi del campionissimo: Stefano Gaggero, Michele Gismondi, entrambi scomparsi, Riccardo Filippi e naturalmente lui, Sandrino, che nella gerarchia interna alla squadra era il numero due.

Veniva subito dopo Milano che aveva preso il posto di Serse e che con Fausto divideva la camera da letto negli interminabili Giri e Tour.

In quelle tante notti del campionissimo aveva misurato gli umori, le ansie che d’improvviso lo assalivano, i lunghi silenzi, l’attenzione vigile con cui la sera, prima di spegnere la luce, divorava i giornali italiani e francesi.

Sorridendo ricordava quando il capitano stentava a prendere sonno e gli diceva con tono di rimprovero:

“Ma Ettore dormi già… E io di rimando con gli occhi ormai mezzi chiusi – gli replicavo -“Fausto certo che dormo, non ho mica la tue responsabilità…”

Si fecero le riprese e le interviste poi dopo pranzo ci sedemmo dietro la casa di famiglia dei Coppi, oggi museo dedicato ai due fratelli, all’ombra di grandi tigli accarezzati da una brezza leggera che sfiorava, più in basso, i tetti delle case di questo incredibile paese sospeso tra Piemonte, Lombardia e Liguria, miracolosamente scampato ai condomini e alle villette.

Alla compagnia si erano intanto aggiunti Nino Defilippis (1932 –2010), altro grande protagonista di quella stagione dorata del ciclismo, morto il 13 luglio 2010, e Piero Coppi, cugino di Fausto, allora sindaco del borgo.

Sotto la regia cordiale e ironica di Milano ognuno aprì il cassetto segreto dei ricordi di corsa, di fatiche, di dolori ma anche di impareggiabili soddisfazioni.

Sandrino Carrea, un omone di imponente stazza fisica, il viso asciutto attraversato da un grande naso come scolpito nel legno, era il più timido e taciturno.

Nei ricordi di tutti, il Tour de France ricorreva come un incubo caldo, rovente.

“Nel ’49 sei colli pirenaici, quaranta gradi all’ombra, l’asfalto che bolliva – diceva Milano – eravamo incatramati di asfalto e di fatica”. “Vero – aggiungeva Carrea – l’asfalto si spaccava e ci finiva negl’occhi, in albergo ci si lavava con l’etere, la nostra pelle era cotta, bruciata”.

Nonostante la corporatura massiccia, Sandrino era in effetti un eccellente passista scalatore, nelle grandi tappe alpine si faceva sempre trovare a fianco del campionissimo con un compito strategico molto preciso: tenere alto il ritmo prima che l’asfalto si drizzasse sotto le ruote.

“È vero, Sandrino, sul passo e in salita andavi forte – intervenne Nino Defilippis, il “Cit” che in piemontese significa ragazzino – anche nella tappa dello Stelvio (Giro del ’53) sei stato tu a preparare l’attacco, tra Bolzano e Merano tiravi come un dannato, cinquanta cinquantadue chilometri di media, il gruppo spezzato in due con il grande Hugo Koblet,lo zurighese vincitore del Giro del ’50, maglia rosa e favorito numero uno, nella seconda parte”.

In effetti non riuscì a decifrare lo svizzero cosa stesse accadendo. Del resto il ‘falco elvetico’, così lo avevano soprannominato per le sue straordinarie qualità di discesista, era tranquillo, il giorno prima Coppi aveva accettato, in cambio della vittoria di tappa a Bolzano, un patto di non belligeranza sullo Stelvio.

“Sulle prime rampe – continuò il Cit – restiamo in pochi, allora il Fausto mi viene vicino e mi dice ‘Nino, ti sentiresti di dare un colpetto?’.

Anche se corro per la Legnano non posso tirarmi indietro, me lo chiede Coppi, e attacco.

E Koblet commette il più grande errore della sua vita, cerca di riprendermi, si scatena la bagarrre.

Coppi ha il pretesto per attaccare, piomba sullo svizzero parte e va.

Mi affianca, mi passa in una curva.

Mi vengono ancora i brividi a distanza di quasi mezzo secolo. Non ho mai più visto nulla di simile, nemmeno Merckx, nessuno, mai, sembrava una motocicletta”.

E anche quel Giro del ‘53, fra mille polemiche, fu del campionissimo.

Sandrino Carrea, dopo aver in larga misura concorso a determinarne l’esito, a Milano fu ventitreesimo, un piazzamento che lo inorgogliva più delle otto vittorie collezionate nella sua lunga carriera chiusa nel 1958.

Lui e Milano erano stati definiti gli ‘angeli di Coppi’.

“Sandrino era davvero forte, lo aiutava davvero.

Io ero solo un porta acqua, se c’era una salita sparivo”, minimizzava sornione Milano che in realtà sapeva leggere in anticipo

gli umori del gruppo, il peso delle fughe, la presenza delle fontane “E poi via anche noi avevamo il nostro interesse – tagliò corto Sandrino – col Fausto si guadagnava bene, tutto quello che la squadra portava a casa lo lasciava a noi gregari, un signore che non diceva mai ‘devi fare qua, devi fare là’, lui sapeva che facevamo sempre quello che potevamo”.

Tra un bicchiere di spumante dell’Oltre Po e tante chiacchiere si era fatto tardi.

Carrea disse che la vendemmia era alle porte e che lo aspettavano nella sua fattoria di Cassano Spinola.

Si congedò in fretta, salì su una Panda infangata e sparì dietro la vecchia casa dei Coppi dove Ettore Milano non è mai più entrato dopo la morte del suo capitano, il 2 gennaio del 1960.

Cesare Chiericati