In morte di Carlo Mazzacurati, il regista-poeta

“Ogni persona che incontri sta combattendo una battaglia di cui non sai nulla.

Sii gentile.

Sempre”.

Come ci mancherà Carlo Mazzacurati, il regista-poeta (così alcuni lo definivano) morto il 22 gennaio a Padova a soli cinquantasette anni.

Il suo modo di intendere la vita (e il cinema) lo aveva delegato ai molti personaggi che azionava dal set e che in fondo erano parte (anche quella più di mestizia ricoperta) di lui.

I soliloqui del ladro Willy in laguna (un magistrale Fabrizio Bentivoglio in accento veneto) nel film “La lingua del santo” o la malinconia vincente dell’Abatantuono drammatico del film “Il Toro” (affiancato da un grande Roberto Citran), oltre a farci capire chi erano Mazzacurati e il suo cinema, bastano da soli a restituirci la misura della reale portata che questa perdita assume per tutto il cinema italiano.

Un regista che attraverso l’uso attorico dei paesaggi – finalmente impiegati non più solo e soltanto come mero elemento scenografico – ha fatto “parlare” le nature (apparentemente) morte di quella parte di Veneto compromettente sul piano dell’emozione e compresa tra i Colli Euganei e il Delta del Po, inserendovi di volta in volta, di film in film, le vite (inizialmente compromesse) dei “normali” di turno: il bracciante licenziato dall’allevamento in cui lavorava (nello splendido film di viaggio del già citato “Il toro”), la vita della prostituta Vesna nel film “Vesna va veloce”, il giovane studente  che finita la scuola decide di trascorrere le vacanze nelle campagne del Polesine, nella casa di uno zio (“L’estate di Davide”, presentato in anteprima al Festival di Locarno e nominato per il Pardo d’Oro), i due ladri – per necessità – della “Lingua del Santo”, e ancora la maestra Mara e l’aspirante giornalista Giovanni nel giallo “La giusta distanza”.

Vite e paesaggi narrati sotto l’influsso di quel sentimento sempre un po’ velatamente “luttuoso” per il tutto che si è destinati a perdere (quasi un anticipo di nostalgia versato sul presente) e che muove i destini mazzacuratiani di molti di questi personaggi che fin dall’esordio di “Notte italiana” abbiamo cominciato ad amare.

Con quelle musiche (molte di Ivano Fossati), con quelle immagini di posti vicino all’acqua lasciate entrare con naturalezza dentro la cinepresa, con quelle storie e quei volti che possono esistere solo dentro certe locande di quei paesi sul Po dove lo sguardo sensibile di Mazzacurati si è  posato.

Finendo per diventare una lunga conversazione sulla vita, tutto questo darsi da fare a girare film scambiandolo per un’altra vita.

Gianluca Mattei