L’unico paese al mondo nel quale non tornerei!

Confesso una debolezza: ogni volta che vedo un mappamondo o un’imago mundi, comincio a contare i Paesi in cui sono stato.

Ognuno mi ispira un ricordo, un rimpianto, una nostalgia.

In ognuno tornerei domattina, magari in compagnia di persone care, cui farlo scoprire.

Adoro il Marocco, dopo l’Italia forse il più bel Paese del mondo.

Sono fiero di aver percorso lo Yemen evitando non tanto i sequestratori quanto le sassate dei ragazzi arrabbiati con gli occidentali.

Mi sono divertito in Indonesia a scommettere a un combattimento di galli, di cui avevo letto solo nei romanzi.

Mangiare dal pentolone del capo villaggio degli Zafimaniri, in Madagascar, è stata un’emozione che valeva l’influenza intestinale che è seguita.

C’è un solo Paese in cui non tornerei mai: la Corea.

Non voglio mancare di rispetto ai coreani e ai loro rappresentanti nel nostro Paese.

Apprezzo l’iniziativa di Mauro della Porta Raffo di dedicare a un Paese emergente e già importante questa rivista.

Ma la Corea la ricordo come un incubo.

(Quella del Sud; figurarsi il Nord, in cui non sono mai stato).

Mangiano i cani.

Quasi nessuno comprende una qualsiasi parola di qualsiasi lingua occidentale.

Gli effluvi e gli odori per strada sono sgradevoli, almeno alle nostre narici.

Molti tassisti di Seul – un inferno metropolitano – non capiscono l’indirizzo degli alberghi (colpa nostra che non li sappiamo pronunciare in coreano, per carità), e se mostri loro il bigliettino con il nome te lo restituiscono dicendo che sono analfabeti.

Per gli occidentali non c’è il consueto interesse che ho trovato negli altri Paesi asiatici.

Soprattutto, da italiano non ho apprezzato il trappolone con cui ci eliminarono dai Mondiali di calcio del 2002.

Ma forse è solo per questo che non amo la Corea.

Aldo Cazzullo